Liberare l'Italia
Istruzione
La scuola e l’università italiane non forniscono ai nostri ragazzi un
livello di istruzione adeguato: ecco cosa fare.
Il problema
- La qualità della scuola italiana presenta una forte varianza sul territorio. In particolare nelle regione meridionali l’apprendimento, secondo i test OCSE, è nettamente inferiore al livello medio dei paesi avanzati;
- Salari e carriere dei docenti non dipendono dai loro risultati;
- L’università manca di risorse e non riesce a distinguersi per qualità dell’insegnamento e della ricerca;
- A differenza del sistema scolastico, l’università ha poche risorse finanziarie;
- I finanziamenti all’università sono allocati male e divisi su troppe sedi;
- Scuole e università italiane non hanno sufficiente autonomia gestionale e decisionale;
- L’intero sistema non premia il merito a livello individuale e non seleziona l’eccellenza.
La riforma dell’istruzione italiana deve affrontare due problemi di grande rilievo sociale. Il sistema italiano non riesce ad agevolare il matching tra la domanda e l’offerta di lavoro; eppure questa dovrebbe essere la priorità in un Paese dove la proporzione di giovani tra i 15 e 29 che non lavorano né studiano (NEET) è la quinta più alta dell’area OCSE. In secondo luogo, la fornitura statale di un servizio universale di istruzione non si è dimostrata sufficiente ad evitare che l’Italia sia uno dei cinque peggiori paesi OCSE rispetto alla mobilità sociale (la possibilità per un povero di diventare ricco e viceversa).
Oggi il principale limite del sistema risiede nell’incapacità di premiare il merito a livello individuale e, dunque, di selezionare l’eccellenza a livello di istituto. A livello della scuola primaria e secondaria, questo problema si traduce in una bassa attenzione ai risultati del lavoro di docenti. Scarsa attenzione al merito equivale a scarsa responsabilità del corpo insegnanti e amministrativo: i dati statistici evidenziano fenomeni di assenteismo, lassismo e scarsi risultati nelle regioni meridionali.
Nell’università, la scarsa attenzione al merito si declina in avanzamenti di carriera poco trasparenti per il corpo docenti e in una bassa pressione sugli studenti a pretendere insegnamenti di qualità e a terminare velocemente i propri studi durante i quali consumano risorse pubbliche. Un’università “parcheggio” è tanto più odiosa dal momento che viene frequentata principalmente da giovani provenienti da fasce ricche della popolazione che usufruiscono di risorse sottratte anche ai contribuenti più poveri attraverso l’imposizione fiscale (le tasse universitarie coprono solo una parte di quanto ogni studente costi allo Stato).
La radice comune a questi mali, scolastici e universitari, risiede nella mancanza di autonomia per gli istituti nelle scelte sul personale (assumere e licenziare i docenti), sulla didattica (organizzare e differenziare i programmi didattici) e infine nelle questioni finanziarie (stabilire il costo del servizio offerto e come investire le proprie risorse). L’accentramento decisionale incide anche sulla distribuzione sul territorio dell’offerta di strutture che, invece di seguire la domanda, porta spesso a proliferazioni di istituti o programmi d’istruzione inutili. Infine la mancanza di autonomia riduce la competizione tra gli istituti e la responsabilità di chi li gestisce.
La soluzione
- Riconoscere a scuola e alle università la massima autonomia, ma anche la massima responsabilità;
- Rimuovere gli automatismi per i salari e per le carriere del personale;
- Per la scuola, conferire il finanziamento statale agli istituti sulla base di quote capitarie;
- Permettere alla scuola di selezionare gli insegnanti, contrattarne autonomamente il salario e la carriera;
- Sviluppare un sistema scolastico paritario, riferendosi al sistema finlandese;
- Permettere all’università di aumentare le tasse;
- Limitare il finanziamento pubblico ad un sistema di borse di studio e a sviluppare “prestiti d’onore”.
Per quel che riguarda la scuola dell’obbligo, viene fatto salvo il principio per cui il costo dell’istruzione deve essere coperto dalla fiscalità, almeno in larga misura. L’allocazione di queste risorse pubbliche deve però essere decentralizzata attraverso un sistema di quote capitarie. In altre parole, una scuola ottiene risorse in funzione di quanti studenti riesce ad attrarre, in quanto per ogni studente viene riconosciuto un “costo standard” a favore dell’istituto.
Insieme a questa meccanismo deve essere assegnata ai singoli istituti la massima autonomia finanziaria, didattica e nella gestione del personale, in modo che ciascuno possa avere tutti gli strumenti per migliorare la propria offerta e convincere gli studenti a iscriversi in quella sede piuttosto che in un’altra.
Un simile modello di sistema scolastico paritario è quello finlandese, dove la piena autonomia degli istituti (che si estende addirittura alla definizione dei programmi didattici), insieme al meccanismo di finanziamento per quote capitarie, ha prodotto risultati eccezionali in termini di apprendimento e efficienza.
Una autonomia ancora maggiore, specie nelle scelte didattiche, dovrebbe essere lasciata all’università. In primo luogo gli istituti non dovrebbero essere vincolati dalle tasse “calmierate”, ma poter applicare tasse più alte per recuperare le risorse che mancano all’Università italiana.
A differenza della scuola, l’onere di finanziare l’università dovrebbe ricadere su chi decide di frequentarla e non su tutti i cittadini attraverso l’imposizione fiscale. Per garantire la possibilità di studiarvi anche a chi non abbia i mezzi economici, il finanziamento pubblico dovrebbe concentrarsi in un sistema di borse di studio e di prestiti d’onore. Il prestito d’onore, sostenuto dallo Stato ma potenzialmente delegato alle compagnie assicurative in concorrenza, dovrà essere restituito dallo studente al termine della sua formazione accantonando una quota del salario, proporzionale al livello del salario stesso.
L’autonomia riconosciuta alle università deve corrispondere anche alla massima responsabilità, inclusa la possibilità di chiusura e fallimento per quelle sedi che non riescono ad attrarre un numero di studenti sufficiente a sostenersi. Ciò significa anche libertà di fallire laddove non ci sia sufficiente domanda di servizi e limitare la proliferazione di sedi universitarie e corsi di laurea.